La vita sbagliata di Johan 2

PARTE 2

 

Il primo viaggio di Johan verso l’ignoto fu colmo di tristezza e incertezza riguardo al suo futuro. I polsi, stretti dalle corde, le dolevano e non potendosi aiutare con le mani, teneva le cosce il più possibile strette al ventre dell’animale così da non perdere l’equilibrio e cadere a terra, sfregando le gambe fino a sanguinare, mentre il vecchio e stanco cavallo grigio su cui l’avevano caricata zoppicava e perdeva il passo. All’arrivo delle prime luci dell’alba, che screziavano il cielo di arancione, il sentiero prima buio e illuminato solo dalla luna, si fece a mano a mano più nitido. La comitiva di cavalieri e uomini a piedi proseguiva silenziosamente verso la sponda opposta del fiume e l’unico rumore era quello ritmico degli zoccoli dei cavalli sulle pietre; insieme attraversarono il fiume Dunsdai, ormai ridotto a un ruscello. Dopo qualche ora di viaggio arrivarono al villaggio di Bransbik che era molto diverso da Mintaus: le case di pietra erano più alte e sembrava che gli abitanti fossero felici e non avessero problemi legati alla siccità, all’agricoltura oppure all’allevamento.

Johan venne slegata e portata nella casa di Owen, tallonata continuamente da due uomini. Ci volle ancora un po’ di attesa prima di rivedere colui che aveva saccheggiato il suo villaggio.

Owen entrò nella stanza calmo e pacato. Nel frattempo si era lavato e indossava indumenti puliti: sembrava un uomo completamente diverso da quello della notte scorsa.

«Johan… vero?».

Johan fece un gesto di assenso con il capo.

Owen la guardò:

«So che per te è difficile capirlo, ma mi dispiace per quello che ti è successo stanotte».

Lei replicò con rabbia:

«Facile a dirsi… dopo aver messo a ferro e fuoco il nostro villaggio nel cuore della notte!».

«Non sono stato io a iniziare questa disputa! Sarebbe dovuta finire molti anni fa! Purtroppo però i continui assalti da parte dei tuoi concittadini non ci danno scelta se non l’attacco!» si difese Owen.

«Ma cosa dici? Non c’è stato alcun assalto!» lo fulminò Johan.

«Ah no eh?» Owen fece un cenno a uno degli uomini dietro a Johan.

«Non c’è bisogno che mi sorvegli. Non andrò da nessuna parte».

«Non cercherai di scappare?» la fissò con un lieve sorriso.

«No» sbottò lei.

«E perché mai? Sei forse stupido? O credi me tale?».

Johan lo fissò dritto negli occhi: «Non ho nessun motivo per tornare».

«Mmm» mugugnò il capo del villaggio.

Intanto la porta si aprì e un uomo spintonò sul pavimento quello che appariva essere un prigioniero: sporco e legato.

Quando Johan vide il viso lordo e i capelli lunghi e arruffati fece fatica a riconoscerlo:

«Imebec… che cosa ci fai qui?» esclamò.

«Te lo spiego io che ci fa qui: era intento a rubare i nostri averi e le armi per portarli a tuo padre!» urlò Owen furibondo, per poi immediatamente ricomporsi.

«Ma come è possibile?»

Johan non capiva.

«È vero?» chiese.

Imebec per tutta risposta abbassò lo sguardo.

«Portalo via» disse Owen al suo scagnozzo che prontamente trascinò Imebec nuovamente all’esterno.

«Sai perché ti ho portato qui ragazzo?».

Johan fece cenno di no con la testa.

« Non mi sono mai interessati i vostri raccolti! Tu sei la mia occasione… la grande opportunità di ottenere finalmente la pace! Non credo che tuo padre attaccherà il villaggio sapendoti qui. È vero; mi ha stupito il coraggio con cui guardi la morte in faccia ma, di guerrieri forti e senza paura al mio fianco ne ho in quantità. Il primo di tutti è lei» disse indicando la figlia che era appena entrata nella stanza. Lo disse con una tale ammirazione che Johan quasi si commosse.

Owen la guardò:

«Se vuoi potrai anche tu diventare un guerriero come lei».

Johan alzò nuovamente gli occhi verso il capo:

«Non desidero altro» rispose con determinazione.

Owen fece un lieve sorriso:

«Lasciatelo. Non è un prigioniero».

Gli uomini la lasciarono e uscirono dalla casa.

«Avremo occasione per parlarci da uomo a uomo. Domani inizierai l’addestramento con mia figlia. Dormirai in casa nostra al piano di sopra».

«…grazie» rispose Johan.

«Grazie a te e… mi dispiace davvero» rispose Owen appoggiando la sua mano sulla spalla di Johan.

Aren, ammiccando un sorriso e strizzando l’occhio in segno di complicità, accompagnò Johan al piano di sopra, nella sua nuova camera. Una volta stesa sul letto di paglia iniziò a fissare il soffitto sopra la sua testa pensando a quanto fosse diverso da quello della sua vecchia casa.

Finalmente qualche lacrima trovò la via di fuga bagnandole il viso.

Poco dopo, cullata dai muti singhiozzi del suo dolore, il sonno la colse.

Parte 3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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